Draghi rivoluziona gli statali. Ecco il piano

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ROMA – Statali più connessi e più giovani. Dirigenti più tutelati quando firmano i provvedimenti amministrativi e tecnologia per processare le informazioni. Non solo quelle rese all’esterno, e cioè agli utenti, ma anche quelle usate per le decisioni dall’amministrazione. La pubblica amministrazione targata Draghi, che ieri il premier ha delineato nel corso del suo intervento alla Corte dei Conti, parte da questi presupposti.

Un piano con pochi elementi di novità dunque. Ma questa volta la possibilità di portare a termine il risultato è più alta, perché al lavoro sul nuovo assetto, ci sarebbe già un gruppo di studio al ministero dell’Economia. E le linee di sviluppo del nuovo modello si intersecano con quelle della governance del Recovery fund che è ormai stabilmente nelle mani del dicastero di via XX settembre. Solo una macchina pubblica efficiente è in grado di spendere bene i fondi europei, così la registrazione dei processi e delle procedure ora ha un banco di prova importante al Mef. Anche perché il patrimonio informativo è custodito alla Ragioneria dello Stato che, con il conto annuale della pubblica amministrazione, ha il polso quantitativo e qualitativo dell’intero esercito dei dipendenti pubblici. La riorganizzazione non può che partire da lì dunque.

Le linee di sviluppo a cui si lavora sono quelle identificate da tempo e che ieri lo stesso Draghi ha ribadito: «È un dovere delle Pubbliche Amministrazioni attrezzarsi perché ciò avvenga. Il nostro impegno sarà quello di rafforzare la capacità amministrativa anche attraverso un’azione volta a selezionare le migliori competenze, a formare e riqualificare le persone, per realizzare un’amministrazione all’altezza dei compiti che il momento straordinario chiede a tutti noi».

Dunque riavvio dei concorsi per svecchiare gli organici (oggi in media l’età dello statale è attorno ai 55 anni) per inserire giovani dotati di competenze digitali, vero e unico volano per la ripartenza dei rapporti tra cittadino e Stato. In questo l’esperienza dello Smart working è stato un importante pilota per comprendere le potenzialità della digitalizzazione del lavoro degli impiegati statali e degli enti locali. A prescindere dai risultati conseguiti, frutto anche di improvvisazione e di mancanza di strumenti legislativi, è ormai metabolizzato il passaggio dalla logica della scartoffie sulla scrivania a quello del rendimento effettivo e misurato attraverso i risultati. Un cambiamento che ha introdotto anche elementi di valutazione del rendimento che finora le barriere sindacali hanno reso poco applicabili nel comparto pubblico. Insomma indici di produttività del lavoro che possono dare indicazioni in tempo reale sull’efficacia dell’azione amministrativa.

Questo impone un importante investimento in tecnologia, altro aspetto che non potrà mancare nella riforma della pubblica amministrazione e che potrà questa volta contare sui fondi del Recovery plan. Non saranno solo le macchine ma un sistema per consentire alla struttura statale la fruizione della tecnologia in modo che persone, processi e dati siano coerenti con il processo per individuare gli obiettivi e il loro perseguimento consentendo una risposta adeguata agli stessi. Un sistema che non potrà prescindere dalla catena di certificazione del blockchain, dall’intelligenza artificiale e dalla crittografia.

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