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Emanuele Ragnedda. La madre contraria alla scarcerazione del figlio: “merita l’inferno”

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Parole dure per una Madre distrutta dal dolore…

REDAZIONE – «Io d’accordo con la scarcerazione di mio figlio? …Certo che no. Chiunque non sarebbe d’accordo».

Così riporta la stampa locale oggi, dopo una intervista al porto di Cannigione durante il sovralluogo dei Ris sulla imbarcazione di famiglia.

Parole dure, pronunciate da Nicolina Giagheddu, madre di Emanuele Ragnedda, l’uomo accusato dell’omicidio di Cinzia Pinna.

Non c’è spazio per la pietà nelle sue dichiarazioni: una madre che prende le distanze dal figlio, che parla di lui usando nome e cognome, come fosse uno sconosciuto.

Già nei giorni scorsi Nicolina aveva espresso la sua condanna morale.

Oggi, al porticciolo di Cannigione, ribadisce la sua posizione: «Merita l’inferno», ripete. Poi aggiunge, con amarezza: «Quando uno vuole davvero suicidarsi, ci riesce. Mio figlio ha provato a farlo, ma non abbastanza».

È una donna ferita, ma lucida. Non parla più con nessuno della famiglia: «Non parlo con lui, non parlo con l’avvocato di mio figlio, non parlo con suo padre».

Secondo la confessione resa agli inquirenti, Emanuele Ragnedda avrebbe reagito a una presunta minaccia prima di sparare tre colpi di pistola contro Cinzia Pinna. Ma sua madre non ci crede.

«Non credo alla difesa da un’aggressione. Mio figlio avrebbe dovuto assumersi subito le sue responsabilità. Non doveva scappare, doveva chiamare il 112. Non credo al panico, non credo a queste cose», dice senza esitazioni.

Nel frattempo, la Procura continua ad indagare sulla dinamica dell’omicidio e sui movimenti di Ragnedda dopo il delitto. Gli inquirenti hanno passato al setaccio lo yacht di famiglia, alla ricerca di elementi utili all’inchiesta.

In un contesto in cui spesso i familiari difendono o giustificano, Nicolina Giagheddu sceglie la strada opposta: quella della verità e della condanna morale. Le sue parole, crude ma sincere, restituiscono l’immagine di una madre devastata dal dolore, che però non rinuncia al senso di giustizia.

E ripete: «Mio figlio doveva prendersi le sue responsabilità. Non doveva andarsene in giro, avrebbe dovuto chiamare subito il 112. Se fosse successo a me avrei chiamato subito il 112. Non credo al panico, non credo a queste cose» e conclude: «Chi sbaglia, paga».

Il caso Ragnedda resta uno dei più discussi degli ultimi mesi in Sardegna. Ma in mezzo alle indagini e ai procedimenti legali, la voce di una madre si impone come un monito di verità:

…nessun legame di sangue può cancellare la colpa!

Una situazione veramente infernale per una Madre colpita da una disgrazia di questo genere…

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