La Maddalena. Le mani dei privati sui Fari storici e sull’arcipelago

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(Rassegna Stampa)

“L’Inchiesta de L’Unione Sarda – di Mauro Pili”

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LA MADDALENA – Da alcuni giorni, compare sul quotidiano ”L’Unione Sarda”, una inchiesta a puntate, a firma di Mauro Pili, che punta il dito sulla recente privatizzazione dei Fari storici dell’Arcipelago, da parte di una così definita “Dinasty” maddalenina, evidentemente interessata all’acquisizione di questi beni demaniali messi a Bando dalla Regione Sardegna…

La prima puntata, racconta di un “avviso ai naviganti reso esplicito dal 1° marzo 1845 si accenderà un fuoco fisso durante ogni notte alla sommità della torre nuovamente costruita sulla Punta Maestro dell’Isola di Razzoli, all’ingresso orientale dello stretto delle Bocche di Bonifacio. L’ordine fu perentorio, sua maestà il Re di Sardegna dispose tempi rapidi e opere durature. I tempi furono rispettati. In quel pertugio di una Sardegna sconosciuta e illibata, sventolata da forti venti e mari in tempesta, pareva impossibile ergere un castello a strapiombo su quel tratto di mare tormentato come pochi.

Dopo 175 anni, invece, quell’eremo è ancora lì, abbandonato e cadente, ma pur sempre eretto e vigile, proteso a traguardare ogni passaggio nelle forche caudine delle bocche di Bonifacio.

Il primo assalto all’arcipelago

Ora, però, in questa Sardegna estrema, con le lingue di granito protese verso la Corsica e i giacigli di lentischio modellati dal maestrale, gli avvistamenti segnalano arditi progetti sulle vestigia di questi imponenti segnalatori luminosi a ridosso dell’arcipelago di La Maddalena, isola e isolotti da dieci stelle lusso. La conquista dello scacchiere maddalenino è una battaglia navale giocata tra poteri locali e regionali con la longa manus dei potentati politici d’oltre Tirreno. Dopo il naufragio turbolento del magnate neozelandese Michael Harte ora la corsa al dominio privato dell’arcipelago riaffiora in salsa sarda, sottotraccia e in silenzio. Quando Harte sbarcò in terra sarda alla conquista dell’isola di Budelli e della sua paradisiaca spiaggia rosa, difeso e sostenuto da un manipolo di tifosi locali, pronti ad entrare nella fondazione “fatebenefratelli” che il miliardario aveva promesso di mettere in campo, aveva giurato amore disinteressato per quell’angolo di paradiso. In pochi si fecero incantare da cotanta smisurata infatuazione. L’innato spirito francescano si schiantò come la fregata francese rovinosamente affondata in quel tratto di mare.

Il caso Budelli

Le segrete stanze del Ministero dell’ambiente lasciarono trapelare le carte sonanti di un progetto da mille e una notte per privatizzare l’isola di Budelli. Ville con vista sulla spiaggia rosa, volumetrie più che raddoppiate, pontile verso il mare per accesso dalla barca, mare interdetto e boa solo per nababbi. Un piano con suite a Budelli, resort diffuso su Razzoli e Santa Maria con la trasformazione dei fari in hotel 10 stelle. Harte scappò a gambe levate. Nessuno poteva garantire quello scempio nel cuore del Parco dell’arcipelago di La Maddalena. Il magnate lasciò perdere e lo Stato fece valere, come era giusto che fosse, il proprio diritto di prelazione su quel proscenio infinito di natura e rara bellezza.

L’operazione Fari

In tempo di Covid, poi, ti aspetti che la burocrazia rallenti, che lo smart working si dedichi agli affari impellenti del palazzo e dell’emergenza. Invece, no. In pieno lockdown sulle Bocche di Bonifacio la battaglia navale si gioca con la triangolazione dei fari, veri e propri monumenti incastonati sulle rocce più impervie dell’eremo insulare, laddove solo Menelik, Martina, Moscardino, Bicicletta, tutti gli asini di proprietà della Marina militare, osavano scalare per raggiungere quel faro rotante in mezzo al mare. L’operazione Fari Sardegna scatta quando meno te l’aspetti. Il 27 aprile scorso, quando l’Isola è blindata, un collegamento skype dà il via libera, o quasi, alla privatizzazione dei fari dell’arcipelago. Concessione, per tempi talmente lunghi da perdersi in alcuni casi molto oltre il quarto di secolo. Nessuno poteva immaginare quello che si stava consumando nella banda larga con tanto di sedute ripetute per porre fine ad una partita iniziata il 21 febbraio del 2019, senza clamore e senza annunci legali nelle pagine dei quotidiani. La gara per pochi intimi si consuma a suon di punteggi e di denaro in cambio di concessioni infinite su quei monumenti stagliati sull’isola di La Maddalena.

I tre progetti

Sotto esame ci sono i progetti per privatizzare i gioielli luminosi sull’isola di Razzoli, di Santa Maria e l’ingresso al parco dal versante olbiese, sull’eremo di Capo d’Orso, punta estrema di Palau. Tre fari, tutti posizionati nella grazia di Dio, dominanti e altezzosi, incastonati nel paesaggio a suon di vento e salsedine. Inaccessibili, riservati, impossibili. Eppure terra promessa per affari da sogno nell’eterno conflitto tra il Parco di Stato, imposto ad ogni costo da Roma, e il Comune di La Maddalena che da sempre vive dimezzato nel governo del territorio. Il sogno di Harte di privatizzare le isole gioiello, mettendo i puntelli per governare accessi e fruizioni, servizi e cotillons, risorge su tre versanti: il faro di Razzoli, sul lato nord occidentale, quello di Punta Filetto sul versante orientale nell’isola di Santa Maria e il terzo, a sud, sul promontorio d’ingresso nell’arcipelago, a Capo d’Orso nel comune di Palau.

L’algebra degli appalti

Il progetto che mette le mani sui fari, e di fatto sulla gestione dell’intero arcipelago, prende forma con i punteggi assegnati con l’algebra degli appalti. Le aggiudicazioni non si concludono con gli atti formali, ma le commissioni di gara mettono nero su bianco i verbali. Faro e società aggiudicataria, offerte di canone, impegni per investimenti per recuperare gli immobili e poi la durata della concessione. Le società prossime all’aggiudicazione non dicono granché, poi, invece, se apri gli scrigni di quote azionarie, atti camerali e incroci societari degni di una dinasty locale ci si accorge che l’operazione arcipelago è su larga scala.

I nomi pigliatutto

Leggi nomi e cognomi, imprese coinvolte e il disegno di nuova governance privata dell’arcipelago affiora con la stessa irruenza del magnate neozelandese. Ad aggiudicarsi il primo dei gioielli, il faro e la casermetta di Marginetto nell’isola di Razzoli, è la società Finns srl, diecimila euro di capitale e progetti milionari per il castello luminoso, a ridosso della spiaggia rosa. Il socio di maggioranza, con 5.000 euro versati è la sconosciutissima società Ensadel srl. I nomi sono tutti riconducibili alla famiglia Del Giudice, quella di Francesco, proprietario della Delcomar, l’Onorato locale, vincitore di un appalto da 100 milioni di euro per trasbordare a caro prezzo residenti e turisti nelle isole di La Maddalena e Carloforte. Con lui Sara Del Giudice, Enzo Giorgio Del Giudice, Gianfranca Conte e la F.D Partecipazioni che dalle iniziali della società e dagli estratti camerali conduce direttamente al proprietario della Delcomar. Socio di minoranza, con il 49% Alessio Raggio, già attivo nel settore alberghiero nel sud Sardegna. Ago della bilancia per la gestione della società che dovrà recuperare il faro di Razzoli, tale Francesco Orrù, con un capitale versato di “addirittura” 100 euro e all’attivo una società ortofrutticola a Samassi, un istituto di vigilanza e una società che si occupava di ambiente. Lo scenario si fa più semplice sul faro di Punta Filetto, nell’isola di Santa Maria. Ad aggiudicarsi l’operazione è la Sardegna Investimenti. Qui la famiglia Del Giudice non ammette soci. Il 40% della società risponde direttamente a Francesco del Giudice, mentre il restante 60% è tutto della Ensadel, sempre famiglia Delcomar, ovvero la stessa che ha la maggioranza della Finns srl che si è aggiudicata il faro di Razzoli. L’operazione si chiude con la porta più a sud del parco dell’arcipelago, nel proscenio di Capo d’Orso. Qui il faro sorveglia gli ingressi delle barche da diporto verso il paradiso promesso di La Maddalena. A vincere anche il terzo faro è ancora una volta la Sardegna Investimenti, 100% della famiglia Del Giudice. Anche qui sbanca i pochissimi concorrenti e con offerte che appaiono più funzionali al monopolio dell’area che alla reale valorizzazione dei siti si aggiudica anche il faro di Capo d’Orso.

L’alleato

Ma non è tutto. Nel faro di Santa Maria il patron della Delcomar non gioca solo, e nelle carte depositate nel municipio di La Maddalena spunta la santa alleanza con la Casitta, un ristorante esclusivo, nel cuore del parco. Il proprietario è Marco Fonnesu, indagato da qualche giorno insieme ai vertici del parco per aver trasformato una spiaggia dell’isola di Santa Maria in una discoteca esclusiva per qualche magnate russo con tanto di palchi, luci da stadio e musica da concerto dei Rolling Stones. Per quella seratina da mille e una notte i giudici della Procura di Tempio hanno messo sotto accusa anche il cugino del proprietario della Casitta, Fabrizio Fonnesu, presidente del Parco dell’Arcipelago, nominato dal ministro dell’ambiente. Lui, ingegnere industriale, già dedito alla costruzione di centrali elettriche a carbone, da qualche anno, per le vie infinite della politica, guida l’oasi naturale per eccellenza della Sardegna. Ora i fari dell’Arcipelago hanno l’ardito compito di illuminare gli affari privati nel cuore dell’isola di La Maddalena.

La battaglia per privatizzare il paradiso è appena iniziata.”

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