La scuola dei piedi nudi

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di Luca Ronchi da Sardegnablogger

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LA MADDALENA – Vigilia di Natale 2016. Sono le 9.30 del mattino. Sono in giro per fare un po’ di spesa e sto cercando parcheggio vicino al negozio di Sebastiano, un ortofrutta a km quasi zero con pochi fronzoli e molta roba buona. La via è già piena di veicoli ed è stretta. Tento un parcheggio impossibile, di quelli che poi scendo dalla macchina con lo sguardo di Bruce Willis, ma dopo un paio di manovre penso: “Ma chi cazzo me lo fa fare?”. Allora mi sposto di quaranta metri scarsi e vado a piazzarmi sul posteggio degli scuolabus, naturalmente vuoto, sotto il vecchio Palazzo Scolastico di La Maddalena.

È la Vigilia di Natale, dicevo, una delle mattine più evocative e goderecce dell’anno, specialmente per i bambini e per gli adulti che ogni tanto si fermano a respirare. Il Palazzo Scolastico esiste da più di cento anni. È stato costruito agli inizi del Novecento per raccogliere i bambini sparpagliati nelle varie scuole, improvvisate all’interno di case e palazzine del Centro storico. Per chi arriva col traghetto, è il grande edificio a sviluppo orizzontale che sembra vegliare sul paese, a mezza altezza tra il mare e la cima dell’isola. Metto il muso della macchina proprio sotto la facciata est, e spengo il motore. Qualche metro più su c’è il portone d’ingresso: chiuso.

La scuola oggi è vuota e i lunghi corridoi li immagino silenziosi e mezzo bui, con quell’odore di colla e legno che è rimasto uguale da quando frequentavo l’asilo. Negli ultimi anni sono uscite alcune raccolte di foto, a cura di Vincenzo Del Giudice, in cui compaiono le classi che hanno frequentato quell’edificio prima ancora che scoppiasse la Grande Guerra, e poi nel primo dopoguerra, e poi durante la Seconda guerra mondiale, fino all’alba del tempo nostro. In quelle foto compare mio padre, e i suoi zii, e i miei, e chissà quanti altri anziani da me incontrati lungo il cammino (il mio e il loro). In quei libri, e nelle immagini che mi si sono presentate quando ho spento il motore e ho guardato il portone, compaiono tutti sotto forma di bambino. A parte i loro austeri maestri, si intende. Se c’è un luogo in cui il tempo si fa gioco di noi, e noi di lui, è una scuola antica. In alcune di quelle foto c’è un dettaglio struggente. Solitamente le classi venivano messe in posa sulla gradinata che collega il pian terreno col cortile interno, perché gli scatti venivano presi la mattina, in favore di luce. Le immagini sono un po’ sbiadite, ma guardando bene si vede che i bambini della prima fila hanno le scarpe, quelli dietro invece sono scalzi. Lascio giudicare a voi se fosse un gesto classista o un atto di delicatezza, nascondere i piedi di quei bambini facendo credere che le scarpe le avessero tutti.

Io preferisco pensare al casino che dovevano fare prima e dopo essersi messi in posa, e al silenzio tombale che doveva regnare nel momento dello scatto, con la pancia in dentro e il fiato trattenuto, con quei visi seri e magri, con quegli occhi che ne avevano già viste di tutti i colori e chissà quante ne avrebbero viste ancora.

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Meglio allora? Meglio oggi?

Credo non sia questione. Meglio oggi, per tantissimi motivi, a cominciare da quei piedi nudi nascosti dietro quella fila di gambe più fortunate. E però la domanda mi resta lì, perché la vita delle persone non la risolvi traducendola in somme di denaro da spendere, e quindi, meglio allora? Non sono sicuro. Mi sembra, dai racconti che mi sono arrivati all’orecchio attraversando il Novecento, che allora la gente avesse più confidenza con la vita e con la speranza. Che poi, cosa vuol dire “allora”? 1910? 1930? 1950? Epoche diverse, storie diverse. Le unisce il fatto che le immaginiamo in bianco e nero, e che tutti quelli che le hanno vissute, a cominciare da quei bambini, avevano un’idea di futuro, e noi oggi siamo il più remoto tra tutti i futuri che loro sognavano, il più remoto tra quelli noti, si intende. Meglio oggi? Meglio continuare a provarci, credo. Meglio andare avanti, continuando a sognare futuri più umani, appoggiandoci a quelle cose che non vanno avanti come farebbe una freccia, ma seguendo il movimento della ruota, come gli anni scolastici, come il Natale, come l’Autunno, come la Primavera.

Oggi la scuola è chiusa. Riaprirà dopo le vacanze, come fanno le scuole.

In quel cortile fino a pochi anni fa crescevano delle rose antiche di origine ligure, talmente profumate che una volta ho sentito l’odore della pianta senza che ci fosse un solo bocciolo in fiore. La prossima volta che ci entro voglio controllare se ci crescono ancora. Penso di si.

Buon Natale.