La Marina militare sotto accusa per la morte di un giovane Sottocapo precipitato dall’albero maestro

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4 dicembre 2016

Processo in corso al tribunale di Civitavecchia

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Sotto accusa tre ammiragli

un comandante e due vice-comandante

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CIVITAVECCHIA – Il sottocapo di terza classe Alessandro Nasta morì il 24 maggio 2012 cadendo dall’albero maestro della nave scuola Amerigo Vespucci, vanto della nostra Marina militare. Alessandro non aveva nessun dispositivo di protezione individuale anticaduta ma dai verbali del Consiglio di Sicurezza della nave emerge chiaramente l’importanza, per i superiori del marinaio, della «tenuta individuale da indossare durante l’orario delle mense» e delle differenti tipologie di calzature, da vela o antinfortunistiche.

Il prossimo 12 dicembre si svolgerà una nuova udienza del processo iniziato lo scorso 16 marzo 2015 davanti al Tribunale penale di Civitavecchia. Sul banco degli imputati gli ammiragli Giuseppe De Giorgi, Luigi Binelli Mantelli e Bruno Branciforte, e il comandante e il vice comandante della Nave Amerigo Vespucci, Domenico La Faia e Marco Grassi. Tra gli atti del processo sono finiti anche verbali delle riunioni periodiche del Consiglio di Sicurezza di Nave Vespucci. Un corposo fascicolo che copre il periodo dal marzo 2008 al maggio 2015 e dal quale emergono fatti, incontestabili, che certamente concorreranno con tutti gli altri a chiarire quali sono state le reali circostanze lavorative in cui si è verificata la morte di Nasta.

Da questi documenti, che Tiscali.it ha potuto leggere, emerge in maniera preponderante e chiara che il rischio di  cadute derivante dai lavori in quota, seppur concreto, non è mai stato preso in considerazione e quindi adeguatamente valutato dal Consiglio di sicurezza nel lungo periodo antecedente al tragico evento. Infatti, prima della morte di Alessandro, il Consiglio non aveva mai fatto riferimento alla necessità di formazione del personale addetto alle operazioni di apertura/chiusura vele né aveva mai affrontato l’argomento “dispositivi anticaduta” ma si era più volte occupato delle calzature dei nocchieri e della “tenuta individuale” che i medesimi avrebbero dovuto indossare durante l’orario delle mense, come se il reale rischio del loro lavoro, la caduta dall’albero maestro sul quale salivano per manovrare le vele a 15 metri di altezza, non dovesse essere nemmeno menzionato.

Nel verbale della riunione del “Consiglio di Sicurezza di Nave Vespucci” del 22 aprile 2010 si legge che il vice comandante della Vespucci, capitano di fregata Nicolò Floria, aveva sottolineato ai suoi subalterni «l’importanza di infondere nell’equipaggio la filosofia della sicurezza e dell’antinfortunistica la quale prevede fondamentalmente che durante qualsivoglia attività manutentiva il primo responsabile è l’operatore stesso», ma è solo dopo la morte di Alessandro Nasta che il vice comandante della Vespucci, il capitano di fregata Marco Grassi, intervenne – si apprende dal verbale del 31 maggio 2012 – con una prima revisione dell’organizzazione della sicurezza di bordo, estendendo i turni di riposo per chi effettuava servizi di guardia notturni particolarmente pesanti. In quell’occasione fu il sottotenente di Vascello Berruti (Capo componente scafo) ad esporre chiaramente lo stato di carenza in cui versava l’unità navale relativamente all’adeguamento alla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (SMM 1062). Carenza che tuttavia l’ufficiale riconduceva ad una «situazione di generale transitorietà nell’organizzazione di Forza Armata, a livello centrale e di Alti Comandi». In quella stessa riunione emergeva la mancanza del “Documento di Valutazione dei Rischi” previsto dal Decreto legislativo 9 aprile 2008 n 81 (attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, anche definito come Testo Unico sulla Sicurezza).

Il terribile sacrificio della vita del giovane nocchiere di terza classe, Alessandro Nasta, forse non è stato inutile. Il 25 ottobre di quell’anno, per la prima volta all’interno dei lavori del Consiglio di Sicurezza della Nave Vespucci, compaiono i primi timidi accenni al riguardo, espressi dal medico competente per la prevenzione e cura per la salute e la sicurezza sul lavoro (nominato solo dopo l’incidente mortale) che, in qualità di consulente del Comandante, suggerì di chiedere ai comandi superiori se i lavori in alberata si dovessero assimilare ai lavori in quota ai sensi della vigente normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e, considerati i danni che sarebbero potuti derivare dalle cadute, aveva ritenuto opportuno che venisse preventivamente individuato il personale che avrebbe dovuto svolgere i  lavori in alberata e che questo personale venisse sottoposto a sorveglianza sanitaria, ribadendo l’opportunità di utilizzo di idonei sistemi di ancoraggio per la tutela della salute dei lavoratori e di adeguati turni di riposo. Troppo tardi, Alessandro era già morto.

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